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Regia: Abel Ferrara

Interpreti: Harvey Keitel, Franckie Torn, Frank Adonis, Victor Argo, Zoe Lund

Paese: USA 1992

Nel cinema di Abel Ferrara il rapporto tra bene e male rappresenta la linea di tensione più importante. Il conflitto tra i termini pur essendo decisivo non è mai definitivo, non esiste una chiara distinzione o quando qualcosa si presenta come intrinsecamente buona – penso alla suora violentata proprio ne “Il cattivo tenente” – questa bontà assoluta, nel senso etimologico del termine perché davvero sciolta da vincoli, non manca di essere problematizzata (una bontà sciolta da vincoli, quale quella contenuta nel detto cristiano del “porgi l’altra guancia” ad esempio fa mancare il principio della deterrenza nella pena, pensare di istituzionalizzare questo imperativo etico nel diritto renderebbe probabilmente impossibile il diritto stesso).

Sulla impossibile distinzione tra bene e male sono state scritte tonnellate di inchiostro, reale o virtuale, spesso approfittando di mode relativistiche dalla scarsa profondità. Ciò che apprezzo in Ferrara, al contrario, è la capacità di ammettere la distinzione tra i termini e al tempo stesso di analizzare come le due polarità differenti condizionano la vita di “singoli individui”. Qui incontriamo un primo paradosso linguistico (o forse solo una contraddizione). Ovvio che l’in-dividuo, per definizione, è un termine pensato per riprodurre una visione monistica dell’essere umano. Rappresentare profili individuali combattuti tra il bene e il male significa innanzitutto mettere in discussione l’idea che qualcosa come un individuo possa esistere davvero.

Certo non può esistere un uomo monade – a una dimensione, avrebbe detto Marcuse, posto che si possa ancora citare Marcuse senza subire le persecuzioni mediatiche di analfabeti prezzolati e rivoluzionari pentiti. L’uomo monade vive il bene a tutto tondo o il male integralmente senza mai lasciarsi tentare dal bene: è un uomo che non vive, a cui non appartengono i nostri tempi. Non a caso, nel film, la suora che vive il bene a tutto tondo  è a sua volta una monade scissa dal resto. La suora violentata a volte sembra quasi un automa, non vive propriamente nel suo tempo, dal momento che è la testimonianza – martyres – di un tempo meno critico in cui la fede cieca garantiva dei fondamenti tali da individuare in modo più netto “il retto cammino” (posto che quel cammino fosse retto davvero e non semplicemente retto per i tempi in questione). Il cattivo tenente, un superlativo Harvey Keitel, al contrario non appartiene a quel tempo passato e vive fino in fondo le contraddizioni e i paradossi della sua di epoca.

Il cattivo tenente cerca domande che non trova interrogando il cristo risorto e per questo morto-passato, un cristo che, nel suo mutismo, ricorda molto il messia della leggenda del santo inquisitore. Le risposte è normale che non le trovi: nelle condizioni critiche la volontà del soggetto vale quanto le circostanze, le plasma dal momento che sono niente affatto obbligate. L’unica possibilità concessa di ricondurre a sintesi individuale le forze differenti che giocano l’animo e l’esistenza del cattivo tenente è connaturata a una scelta radicale tale da garantire il trionfo di una polarità rispetto all’altra. Una scelta così radicale, tuttavia, non può che segnare il termine del film, dal momento che fornisce al personaggio una via di fuga dalle sue contraddizioni segnando il superamento della condizione critica ma anche il termine quantomeno per un suo modo di essere.

Di solito, il senso di qualcosa lo si capisce in punto di morte, nel caso del cattivo tenente Keitel, in punto di morte del film si comprende l’orientamento verso cui lo indirizza la sua scelta radicale. Il punto di volta di quest’ultima, che certo scombina la trama precedente dell’opera, viene determinato proprio dal contatto con la suora violentata e il cristo silente: il passato non imporrà certo il futuro, ma resta sempre come termine di paragone utile a capire che la violenza dell’assolutismo non giustifica l’assolutizzazione del relativismo.

Film splendido, assoluta l’intensità poetica della sequenza finale e la danza tossica di Keitel nudo e fatto. Lo consiglierei a due categorie di persone, a coloro i quali pensano che la riflessione sulla religione e l’anticlericalismo siano due sinonimi e al tempo stesso a questa chiesa, così poco cristiana, così restia ad accettare la vita nella sua scabrosità.

Infine, una notazione relativa ad altri film di Ferrara e al modo in cui in essi il regista declina il rapporto tra bene e male. Mi vengono alla mente “Fratelli” e “King of New York”. Nel primo caso il male “istituzionalizzato” – i fratelli sono gangster – riassume in sé anche la categoria del bene istituzionalizzato e agisce in funzione di una vendetta che cerca quasi una giustificazione giuridica. Nel secondo caso, il bene istituzionalizzato imita l’organizzazione criminale che combatte per ottenere il fine desiderato e finisce con l’annullare sé stessa. Siamo sempre interni a un rapporto tra organizzazioni differenti che si confrontano, si imitano, mentre manca ciò che rende diverso “Il cattivo tenente”. In questo caso l’istituzione è identificabile con una sola persona, il conflitto ridotto ancora di più alla sua esperienza, la crisi ha talmente “infettato” le strutture da rappresentare la stella polare sotto cui il singolo si muove. Ricordando, tuttavia, che il “singolo”, termine che preferisco a individuo, può approfittare della crisi di senso per riaffermare sé stesso e seguire direzioni altre da quelle indicate dalla stella polare.

 

Qui termina la recensione, ma questa volta vorrei aggiungere una postilla, dedicandola a una persona che non c’è più da tempo. Tra qualche giorno, due esattamente, faranno sette anni che Carlo Giuliani è stato ammazzato. Per chi scrive quella data pesa dentro l’anima come una ferita che non si chiude e non ha intenzione di chiudersi. Chi scrive ha l’obbligo della memoria.

A Carlo Giuliani, a sua madre Heidi e a tutti coloro che perdono l’orientamento desiderato e si riscoprono liberi da stelle comete o redentori. Anche a costo della propria vita.

 

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