Regia: Gus Van Sant
Interpreti: Gabe Nevins, Daniel Liu, Taylor Momsen, Jake Miller
Paese: U.S.A. (2007)
La dimensione in cui si svolge “Paranoid Park” incrocia spazi e tempi estranei che convivono nell’unità plurale del film. La convivenza è conflittuale. L’incrocio è un obbligato incontrarsi e uno scontro, non voluto, tra la comunità di skaters di cui fa parte il protagonista, Alex Tremain, e il mondo al suo esterno.
La comunità è un cerchio spaziale e temporale. Essa è rappresentata, nel suo spazio circoscritto, attraverso una tecnica di riproduzione filmica temporalmente differente, perché più antica, rispetto a quella utilizzata per gli spazi in cui si svolge il resto della narrazione.
La comunità nasce dalla separazione col resto del mondo. La riproduzione dei movimenti degli skaters, e la musica esclusivamente strumentale che la accompagna come sottofondo, ne esalta i passaggi rallentandoli e li addolcisce.
La separazione, in questo momento del tempo che attraversa il film fino alla fine, è quiete come quella che può dare l’immersione nel mare o in qualsiasi altra cosa che ricordi un liquido amniotico. Paranoid Park è lo spazio dal tempo bloccato che si contrappone alla dinamica storica del mondo delle istituzioni: il mondo della scuola, della polizia, dei rapporti affettivi anch’essi saldati da una sorta di contratto. Questo pezzo di cemento fatto di curve e scivoli, però, è l’utopia di una separazione da un tempo fisico che scorre per il mondo delle istituzioni e della legge sì come per quella comunità che trova casa a Paranoid Park.
La maturità, il divenire adulti è ciò che il mondo della comunità e quello della legge o dell’impero si contendono in relazione allo stesso avvenimento: un omicidio. E a riprova che nulla è meno neutrale anche del fatto più evidente, la maturazione che i due mondi chiedono al protagonista, che è partecipe suo malgrado dell’omicidio, è opposta.
La maturità che il mondo delle istituzioni chiede ad Alex presuppone che egli confessi la verità e attraverso di essa compia il passaggio dall’ammissione della colpa all’espiazione passando per la condanna e la pena. La maturità che sperimenta Alex, invece, presuppone che quella verità sia ricostruita per uno spazio privato, la propria coscienza, attraverso la mediazione di un foglio al quale consegnare la dinamica dell’accaduto, prima di bruciarla per sempre.
Se la legge, attraverso Alex, vuole intromettersi nella vita della comunità, con la sua scelta Alex preserva la comunità. Egli agisce in tutela di se stesso sì ma di un sé che si identifica con un luogo fisico rispetto a una entità esterna che invece vive del controllo dei flussi. L’omicidio cui partecipa avviene quando si allontana dal luogo, in compagnia di uno dei suoi occupanti stanziali che ha fatto di Paranoid Park la propria casa. La vittima, invece, è un impiegato della sicurezza ferroviaria, l’addetto al controllo e alla regolarità dei flussi che percepisce come una minaccia, quando è solo un gioco, la presenza dei due skaters su un treno in movimento.
Per quanto la comunità sia luogo e l’impero flusso, ad apparire lento è il secondo. Chi lo rappresenta, nel film, o muore perché prende sul serio una minaccia che non c’è o non riesce a imporre la propria autorità nemmeno su un ragazzo. La comunità è la forma pulviscolare del presente come tale impossibile da ricondurre a norma perché, in quanto pulviscolo, non può essere controllata nelle tante forme che essa può assumere.
La comunità, però, non è un luogo di potenziale antagonismo. Lo spazio circoscritto è difeso in nome del bisogno di ritirarsi dalla storia che ormai sembra scorrere altrove, nella guerra in Irak o negli scenari della povertà africana che sono gli unici luoghi e le uniche storie cui Alex distrattamente fa cenno quando deve dire cosa gli sta a cuore, oltre se stesso e il proprio cosmo. Non vi è così velleità di sintesi politica o il desiderio di indicare una via d’uscita nella contrapposizione ma la semplice ripresa, a volte letteralmente amatoriale, di questa convivenza conflittuale tra l’autorità in crisi e l’individuo che ricrea spazi comuni al di fuori di essa.
Paranoid park, però, non è automaticamente lo spazio della felicità perché contrapposto a quello del dovere, greve e ingenuo, incarnato al meglio dalla giovane fidanzata di Alex, che perde la verginità per obbligo e non per gioco. Il “parco” è anche uno spazio claustrofobico, cameratesco, composto da soli maschi che usano un linguaggio omofobico per reprimere la propria omofilia, come nel caso di Jared, il miglior amico di Alex, per il quale ogni debolezza è da “frocio” ma che si perde nel guardare il più giovane Alex.
Le due utopie che si contrappongono, quella del controllo e quella dell’astrazione, rimangono dei non luoghi e tradiscono inevitabilmente le speranze che promettono. Il fuoco finale che consuma la verità fattuale valida per entrambi i mondi è la sanzione di questo reciproco gioco a perdere che localizza ormai nel ricordo dell’età dell’innocenza la dimensione di una felicità perduta.
[…] Tornando a scrivere di cinema: https://controreazioni.wordpress.com/2013/04/14/paranoid-park-comunitaimpero/ […]
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Ovviamente tutti (io compreso) adorano Gus Van Sant per “Will Hunting”, ma a mio parere un’ altra gemma della sua filmografia é “Da morire.”
Vidi questo film anni fa, e mi colpì moltissimo per la precocità e l’ efficacia con cui seppe descrivere quello che poi sarebbe diventato uno dei vizi più comuni della nostra società: la voglia di apparire a tutti i costi, anche in negativo, anche ad un prezzo altissimo.
Sulla vicenda di cronaca da cui é tratto “Da morire” é stato girato un altro film, “Giovani bruciati”, ancora più raggelante.
In “Da morire” infatti il tono é volutamente esagerato e grottesco, e quindi, proprio perché “sa molto di film”, tu reagisci alle meschinerie che ti vengono presentate con relativa calma; “Giovani bruciati” invece riproduce realisticamente il fatto di cronaca su cui si basa, e quindi tu davvero ti indigni, e davvero blocchi il film con il telecomando e ti metti a pensare: “Ma é possibile che sia successo davvero?”