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Posts Tagged ‘Matteo Garrone’

In occasione dell’annuncio per la corsa agli Oscar del film di Garrone proponiamo la recensione del film apparsa per la prima volta sul numero XV (giugno 2008) della rivista di critica KINOKINO.

 

Regia: Matteo Garrone

Interpreti: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo

Produzione: Italia, 2008

 

 

Quando verrà pubblicato questo pezzo il Festival di Cannes si sarà già concluso e io mi auguro che per allora il nuovo film di Matteo Garrone avrà strappato almeno un premio durante il prestigioso appuntamento francese. Sì, perché questa pellicola, oltre a raccontare una storia difficile e “vera” (informativamente parlando), testimonia un lume artistico di grande spessore che l’Italia cinematografica ha perduto e che sembra non adoperarsi per recuperare.

 

Dopo la vittoria con “L’Imbalsamatore” come miglior sceneggiatura ai David di Donatello, per il regista romano si è aperta una fase in piena ascesa che lo ha portato a dirigere Primo amore nel 2003 ispirato al romanzo “Il cacciatore di anoressiche”. E ancora un libro è lo spunto per il nuovo lungometraggio. Si tratta del romanzo-denuncia di Roberto Saviano dall’omonimo e apocalittico titolo “Gomorra”. Prodotto da Fandango e sovvenzionato dal Ministero dei Beni Culturali, il film è stato girato – non poco indisturbato – a Scampia, quartiere periferico di Napoli e covo della criminalità organizzata. Qui si intrecciano le storie di più persone comuni che tentano di convivere e di sopravvivere accanto alla Camorra, unico vero punto di riferimento della popolazione campana quando lo Stato si eclissa. Garrone mostra esecuzioni velocissime con un sottofondo musicale flokloristico in pieno contrasto visivo e sonoro. Le luci illuminano solo i volti dei ragazzini impauriti, come Totò, che indossano i giubbotti antiproiettile per provare il loro coraggio. Le luci illuminano l’antro abbandonato della villa a Casal di Principe confiscata a Walter Schiavone, il boss del clan dei casalesi. Ciro e Marco qui si sentono come i protagonisti di Scarface. Una visione domina dall’alto il cemento impregnato di sangue e un uomo che tenta di non calpestare i cadaveri si fa largo tra quei corpi che 30 secondi prima erano vivi. In “Gomorra” il sole non è mai abbagliante come a indicare che su Scampia le nuvole rimarranno ancora a lungo. I sorrisi sono tirati, gli amori non esistono, le persone sopravvivono e basta.

 

Chi ha letto il libro capirà che la storia è pressoché identica e noterà che nella sceneggiatura Saviano ha operato in sintonia con le esigenze cinematografiche, cambiando soltanto la tempistica degli avvenimenti. Sia lo scrittore che il regista non mettono mai in scena il cosiddetto barlume di speranza in fondo al tunnel: una facile retorica che creerebbe una distorsione del “reale” rappresentato. Forse che per i campani non ci sia più speranza? Credo piuttosto che questa visione apocalittica rappresenti un monito per cercare la fiducia scomparsa tra coloro che combattono la Camorra ogni giorno. Ma gli altri? Gli italiani del Nord che ruolo hanno? La borghesia cittadina del Settentrione vive in un’illusoria bambagia a causa della quale pensa di non essere direttamente coinvolta, ma si dimentica che il “Sistema” si nasconde nei vestiti firmati, nel cibo che acquistiamo, nei rifiuti di cui pensiamo di liberarci. Il “Sistema” possiede le caratteristiche del classico effetto boomerang: non è lontano il tempo in cui tutto si ritorcerà contro. E infatti non poteva mancare in un film come “Gomorra” il problema dello smaltimento dei rifiuti rappresentato dagli affari di Franco (sempre un grandissimo Toni Servillo) con il suo assistente Roberto. A costi bassissimi e in tempi da record la Camorra provvede a far sparire i rifiuti delle aziende del Nord senza che nessuno abbia il tempo di ribattere o di controllare. Gli effetti di questo losco traffico saranno nei frutti appena colti che uno dei protagonisti è costretto a gettare.

 

La pellicola è uscita il 16 maggio 2008 ed è il prodotto di una splendida collaborazione tra uno scrittore che vive sotto scorta perché racconta la verità e un regista coraggioso che mette in scena il cinema attraverso un impianto simil-pittorico. L’attenta analisi tra le luci e le ombre, i colori, la fotografia, le tonalità del paesaggio sono la testimonianza di un passato maturato nella pittura. Musiche, che vedono la partecipazione dei Massive Attack, e dialoghi sono perfetti. Nonostante questo prezioso lungometraggio significhi una boccata d’aria fresca per il nostro cinema ormai troppo abituato al peggio (cinepanettoni, Muccino &co.), “Gomorra” resterà probabilmente un film di nicchia al quale il pubblico riserverà purtroppo una tiepida accoglienza. La massa che va al cinema, in cerca solo di intrattenimento, non è ancora pronta per accogliere un regista come Garrone e per questo credo sia stata indovinata l’idea di non portare la pellicola ai David italiani bensì a Cannes. È necessaria una pressione mediatica internazionale per dare visibilità a un autore in grado di interpretare il moderno.

 

E Matteo Garrone lo sa fare molto bene. “Gomorra” racconta quello che la tv e i giornali non rivelano. Ma in Italia siamo fatti così: ci si dispera solo a danno compiuto. Dunque non resta che fare gli auguri a Bossi e a tutti quelli che lo sostengono perché, come spesso accade, hanno palesemente sbagliato nemico contro cui puntare i fucili.

 

chiarOscura

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Regia: Gianni Di Gregorio

Interpreti: Valeria De Franciscis, Marina Cacciotti, Maria Calì, Grazia Cesarini Sforza, Alfonso Santagata e Gianni Di Gregorio

Produzione: Italia, 2008

 

Gianni è un uomo di mezza età che vive con la madre vedova in un appartamento di Roma. Alla vigilia di Ferragosto l’amministratore dello stabile propone a Gianni la cancellazione di alcuni debiti in cambio di “asilo” per la madre anziana che sarebbe d’impaccio durante le vacanze. La proposta è allettante e a malincuore il nostro “ragazzo” non può che accettare. Ma Gianni non poteva prevedere che l’amministratore si sarebbe presentato a casa in compagnia anche della zia e che di lì a poco l’amico medico avrebbe parcheggiato la vecchia mamma nella medesima dimora. Circondato da quattro arzille vecchiette Gianni dovrà trovare il modo di intrattenere le donne assecondando amorevolmente le loro esigenze ma soprattutto tenterà l’impresa di sopravvivere al giorno di Ferragosto.

 

Prodotto dalla Archimede Film e realizzato con l’aiuto di Matteo Garrone, “Pranzo di Ferragosto” è una deliziosa commedia che descrive quattro storie di donne anziane e di come queste, pur abbandonate temporaneamente dai figli, affrontino le problematiche legate all’età. Il protagonista Gianni Di Gregorio, nonché regista e sceneggiatore, viene a contatto con il loro desiderio di evasione, con i loro cari ricordi e con il bisogno di affetto. Una serie di lacune a cui la nostra società occidentale non è in grado di far fronte e a cui tenta di rimediare con tanta indifferenza. La delicatezza e la sensibilità di Gianni verso le anziane protagoniste sono infatti merce rara di questi tempi.

 

L’impianto della messa in scena è teatrale e conferma la provenienza dell’autore che ha recitato anche con Grotowski e Kantor. Una tecnica precisa caratterizza la regia di Di Gregorio: l’indugio sul particolare che diviene espediente narrativo (a tal proposito è significativa la sequenza della madre si trucca il volto) e l’accortezza nel cogliere i protagonisti in situazioni non propriamente fotogeniche (ad esempio con il boccone di cibo in bocca). La mdp non è fissa e segue il personaggio cogliendo espressioni anche in primissimo piano. Tutti elementi che conducono a “Estate romana”, una delle prime pellicole del regista di “Gomorra” e che abbiamo precedentemente recensito. Non è un caso infatti la profonda traccia della poetica garroniana. Una peculiarità che emerge forte e riconoscibile nel panorama cinematografico di casa nostra: benché sia evidente il richiamo all’archetipo della commedia all’italiana “Pranzo di Ferragosto”, tra le molte altre cose, mette in luce l’originalità del cinema di Matteo Garrone che, con costanza e autonomia, ha dato vita nel tempo a una propria indipendenza autoriale. Gli interni delle case borghesi, l’estate torrida nella capitale, il viaggio verso il mare, nessi che in misura più contenuta ripropongono gli ingredienti di “Estate romana” per le cui riprese Di Gregorio ha collaborato come aiuto regista.

 

Le musiche sono di Stefano Ratchev, primo violoncello dell’Orchestra Art Academy Giovani di Roma, e del chitarrista Mattia Caratello. I due giovani compositori fanno parte del gruppo Revhertz e hanno creato musiche che evocano il “folklore romanesco”, molto simili a quelle di Tiersen in Amèlie. Un giovane direttore della fotografia, Gian Enrico Bianchi, e il montaggio di Marco Spoletini (L’Imbalsamatore e Gomorra), entrambi noti al circuito garroniano, completano il cast tecnico di questo interessantissimo esperimento filmico.

 

Chi conosce e apprezza la filmografia di Garrone capirà che “Pranzo di Ferragosto” non è innovativo sotto il profilo artistico, ma è un film che racconta – e lo fa con una più che buona regia – una storia genuina, divertente e per nulla stereotipata. La scelta di portare sul grande schermo attrici non professioniste implica una maggiore personalizzazione, anche se bisogna ammettere che in alcuni tratti si avverte la distanza tra il veterano del palcoscenico Gianni e la spontaneità un po’ forzata delle signore co-protagoniste. Dettagli comunque trascurabili quando si tratta di una brillante visione d’insieme che nel complesso lascia lo spettatore soddisfatto. Il film arriverà nelle sale il 5 settembre e sarà presentato in anteprima nella Settimana della Critica a Venezia 65.

È il caso di non farselo sfuggire.

 

chiarOscura

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Regia: Matteo Garrone

Interpreti: Rossella Or, Monica Nappo, Salvatore Sansone

Produzione: Italia, 2000

 

 

Arrivato nelle sale alla fine del 2000, Estate romana è un classico esempio della sottovalutazione mediatica a cui il nostro Paese è soggetto da ormai parecchio tempo. La tv italiana, complice di aver sopito qualsiasi impulso culturale, non avrebbe la forza di ospitare una pellicola come quella di Garrone se non relegandola ai contenitori un po’ defilati come Fuori Orario. Sarà che i tempi non sono ancora maturi o sarà che i geni rimangono sempre incompresi, ma sta di fatto che Gomorra, grazie a Cannes, ha ottenuto una visibilità tale che sugli schermi italiani sarebbe stata impensabile. Ecco dunque che anche i giornali nostrani si accorgono finalmente di questo Autore italiano che ha lavorato con discrezione e autonomia per portare al cinema ciò che ha voluto. Un privilegio che di questi tempi non è poco. Estate romana rappresenta una tappa essenziale per approfondire la poetica garroniana e la singolarità della sua opera.

 

In un’estate torrida, nel pieno dei lavori per il Giubileo, Roma osserva distratta l’esistenza di tre personaggi, un uomo e due donne, che per qualche giorno condividono lo stesso tetto. Rossella, Salvatore e Monica sono alla ricerca di se stessi perché di se stessi sanno poco o nulla, sono sognatori annichiliti dall’incomunicabilità tipicamente urbana.

 

Tra i protagonisti va segnalata Rossella Or che per ha creato un personaggio intenso e bizzarro. Cammina come alienata, si muove senza controllo e riesce trasmettere quel senso di disorientamento come se la mdp l’avesse scovata per caso tra le vie della città. Tornata a casa (nella sua casa) anche qui rimane un’estranea persino per quelli che l’hanno conosciuta e amata. La danza liberatoria che compie sulla spiaggia è forse l’unico momento di contatto col mondo e, come quando si trova sul palcoscenico di un teatro, la donna si sente finalmente libera dalla paura. Rossella, a differenza degli altri personaggi, non riesce neppure ad abbozzare vagamente i suoi progetti futuri: esiste solo nello spazio del film, ecco tutto.

 

La mdp – che il regista romano dirige sempre in prima persona – si muove con i personaggi, ma mai in funzione di essi. Stravolgendo il punto di vista Garrone consente allo spettatore di cogliere particolari sempre nuovi ad ogni visione della pellicola. Lo studio del colore e l’attenzione per la fotografia (affidata al giovane Gian Enrico Bianchi) conferiscono alla pellicola un respiro avanguardistico. Queste accortezze tradiscono i trascorsi da pittore e fotografo di questo regista quarantenne che sta sorprendendo l’Italia con il suo ultimo film premiato a Cannes. Le musiche, curate dalla Banda Osiris, rendono ancor più trasognata l’atmosfera. Non senza qualche eco “morettiana” Estate romana è un quadro in movimento che attraverso la dinamicità, a volte nervosa, delle inquadrature esprime tutta la staticità dell’esistenza umana. È un dramma collettivo sulla classe basso-borghese romana, ma anche una commedia sull’inettitudine dell’esistenza, che ingombra lo spazio, come il mappamondo che i protagonisti non sanno a chi lasciare.

 

Tutto il cinema di Matteo Garrone è una sfida da raccogliere. E se Gomorra rappresenta la sfida civile, Estate romana è senz’altro quella esistenziale.

 

 

chiarOscura

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