Regia: Wong Kar Wai
Interpreti: Maggie Cheung, Tony Leung Chiu Wai
Paese: Honk Kong – Francia (2000)
La mentalità da agrimensori che spesso contraddistingue chi si occupa di cinema ha stimolato, nel caso del cinema di Wong Kar Wai, una strana corsa competitiva alla misura del capolavoro per tentare di capire quale, tra In the mood for love e 2046, fosse l’opera più riuscita dell’autore di Honk Kong. Strano intento competitivo, che di solito premia il primo film sul secondo, che ha così separato due pellicole tra di loro inscindibili.
In the mood for love rappresenta il precedente logico – oltre che cronologico – di 2046, così come a sua volta 2046 rappresenta una proiezione verso un futuro cui, tuttavia, non è detto che debba essere data rappresentazione. Tentando di essere schematici, a contatto con una materia che dovrebbe consigliare di rifuggire dagli schematismi, In the mood for love rappresenta la fase di ingenua, e moderna, sperimentazione dell’amore che prepara il salto estetico di 2046 verso il disincanto e quella fase indefinibile di superamento della modernità lì rinchiusa tra le luci di una città avveniristica e il vortice di un treno temporale.
I protagonisti di entrambi i film vivono in una stanza affittata, in una condizione di instabilità che è sinonimo della loro mancata stabilità esistenziale. Tuttavia se nel caso di 2046 l’instabilità era una scelta, sofferta, del protagonista, pensato come un soggetto ormai transitato da una fase comunitaria dell’esistenza a una condizione di individualismo compiuto e solitario, nel caso di In the mood for love l’instabilità è più un elemento del destino che una scelta. La narrazione , non a caso, si svolge coinvolgendo due individui, entrambi interni a una relazione familiare e distanti dal lirismo dell’Ulisse senza patria, né spaziale né temporale, che Wong Kar Wai rappresenterà in 2046.
I protagonisti vivono un equilibrio spezzato dalla nascita dell’amore, che è qui nella sua fase aurorale, tesa all’eterno del mai e del sempre senza ancora averne sperimentato quella ipocrisia e quella impossibilità sulla cui consapevolezza si svolge la trama di 2046. Il sentimento nasce lentamente, attraverso un timido sfiorarsi di mani prima sconosciute e che poco alla volta imparano a rifiutare di rifiutarsi. Il sentimento sperimenta e cerca quella certezza sulla cui perdita si fonderà la figura del disincanto che è la maschera con cui lo scrittore di 2046 si presenterà al mondo per poterne parlare.
Il lento sfiorarsi dei protagonisti è un guardarsi di spalle che prelude all’intensità non commensurabile della nascita del loro amore. La non commensurabilità della passione, l’impossibilità di dirla e rappresentarla sia ai nostri occhi sia agli occhi di in un mondo che non è ancora pronto per la verità, costituisce la ragione estetica del film. La non dicibilità della passione rivela l’inadeguatezza della parola nel descriverla e dell’uomo nel comprenderla, svelando quanto sia illusorio pensare di poterne catturare uno sguardo del tutto insofferente alle utopie totalitarie dei nostalgici.
È appunto l’arte l’unica via che può sperimentare il paradosso cui incorre chi vuole rappresentare la profondità di un essere in divenire perché fin dalla sua genesi si è intessuta del corto circuito tra vita e rappresentazione. L’arte può quindi esprimere, nei tempi non maturi per la verità, la passione, anche quella più irriducibile a “senso”, ma solo per consegnarla alla fugacità dell’attimo e alla malinconia del ricordarlo. Sperimentata l’impossibilità del vero in un mondo comunitario, strozzato da vincoli e obblighi sociali cogenti, il protagonista maschile può consegnare alla sacralità ancestrale dei templi la verità del suo tempo e prepararsi a rinascere nel cosmo metropolitano di 2046 dove l’amore o è ironico rimpianto o è proiezione in un futuro che si dilata mano a mano a esso ci si avvicina.
Così se il protagonista di 2046 è uno scrittore disincantato, quello di In the mood for love adesso aspira a scrivere ma non ci riesce almeno fino a quando è in lui manchevole quella consapevolezza dell’esistenza poi conosciuta vivendo la quieta tragedia di un amore perduto. La vita così fa da preludio ineludibile all’arte che a sua volta rimanda alla vita e al dubbio che, in un futuro forse nemmeno immaginabile, possa darsi una vita vera al di fuori degli schermi deformanti della falsa.