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Archive for the ‘Evento da Cinefilo’ Category

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Regista: Yasujiro Ozu;

Interpreti: C. Ryu, C. Higashiyama, S. Hara, S. Yamamura, K. Myake, K. Kagawa, H. Sugimura;

Paese: Giappone, 1953

 

Partiamo dalla fine: Il film termina con una sequenza di barche che risalgono la corrente di un fiume, in procinto di allontanarsi da una città verso altri porti fluviali. Questa scena costituisce il finale del film insieme a un altro gruppo sequenziale. Individuo “l’ultimo capitolo” nella scena dell’orologio. Seduti sulle proprie ginocchia, il padre anziano regala alla nuora un orologio appartenuto alla moglie. Il dono equivale a una “benedizione” verso la scelta della donna di cercare nuovamente marito dopo otto anni di vedovanza. Di seguito Ozu alterna scene di movimento a scene di stasi. Un treno che si allontana sotto gli occhi della figlia più giovane precede il dialogo tra il padre anziano e una vicina di passaggio. Nel dialogo tra i due vecchi, il primo lamenta, discretamente, la lunghezza interminabile della solitudine.  Infine, tornando al principio, i battelli che si allontanano. Il dono dell’orologio è la porta che apre questo piano di sequenze e spiega, a mio modo di vedere, la poetica del film. L’orologio è il tempo che riprende a scorrere, la vita che riprende dopo otto anni di castrazione e riprendendo “pretende” ancora di essere narrata.

 

La narrazione prevede sia uno svolgimento che una fissazione in immagini. Lo svolgimento è la dinamica del viaggio, rappresentata dai treni e dalle navi che si allontanano lungo due vie tra di loro molto simili quali i binari e un fiume. La fissazione in immagini corrisponde alla malinconia calma del padre anziano, costante ed “esaltata” nelle scene finali. La capacità di fermare in immagine una dinamica è la condizione per fare arte, stabilita questa i viaggi divengono possibili: il dialogo con la nuora e con la vicina – momenti di “stasi” – precedono le immagini dinamiche. La dinamica precede “l’essere” per renderlo possibile non per bloccarlo. L’essere è la condizione per il raccontare, per il descrivere: ovvero è la condizione per l’arte che, più di ogni altra disciplina umana, esprime questo rapporto tra movimento e calma, tra caos e ordine.

Il buon viatico alla nuora è la constatazione che la vita procede nei suoi ritmi e nessuno la può ostacolare. La vita non è un piano su cui tutti ci ritroviamo ad agire nelle stesse condizioni, ma un intreccio tra storie differenti tutte, tuttavia, debitrici, di alcune costanti difficilmente eludibili. Costanti come il distacco progressivo che tra genitori e figli si crea mano a mano che gli ultimi crescono e stabiliscono altri legami affettivi esterni a quello genitoriale. La capacità dell’artista – e Ozu lo è – è appunto quella di raccontare le esistenze nella loro complessità diacronica,  intrecciando tempi differenti, attraverso un’economia dei mezzi espressivi che ho trovato, in questo caso, sublime. I dialoghi estremamente chiari costituiscono l’ossatura di questa economicità. Sebbene alle prese con la descrizione di un mondo in decadenza, quale quello del Giappone agricolo, Ozu non associa la descrizione di un mondo al crepuscolo, corrispondente alla costellazione “materna”, a una esagerazione melodrammatica dei toni.

 

Ho rivisto in questo film di Ozu i tempi lunghi e la calma narrativa di Derzo Uzala, splendido film di Akira Kurosawa. Vi ho rivisto, certo, la semplicità intelligente di Paul Klee che restituisce la realtà ricercandone l’essenza. E la nostra realtà è fatta di istinti ineludibili, tra questi quelli fortissimi dell’amore genitoriale e filiale e della sopravvivenza di fronte alla loro frattura che non solo giustifica le lacrime e l’elaborazione del trauma ma li rende necessari. Realtà, la nostra, costituita, inoltre, di cicli obbligati dell’esistenza, infanzia-adolescenza-gioventù-maturità-vecchiaia, che accomunano gli uomini garantendo loro una base per stabilire una comunicazione su basi non convenzionali. 

Ozu ha preso la vita per ciò che essa è e per ciò che può essere, lo ha fatto raccontando una storia “possibile” al tempo stesso sapendo che il “possibile” non è affatto il necessario, ma una variazione di tema su un sostrato comune ineludibile, perché tutto possiamo fare, tranne che, parafrasando Wittgenstein, “segare il ramo su cui siamo seduti”.

 

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Produzione: Usa, 1982

Regia: Ridley Scott

Interpreti: Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young

 

 

Pubblicato per la prima volta sul numero VIII della rivista di critica cinematografica “KinoKino”, il seguente articolo è stato realizzato nel febbraio 2007 in occasione del 25° dalla scomparsa di P. Dick.

 

 

Chi scrive fra pochi giorni compirà 25 anni, gli stessi che ci separano dalla prematura morte di quel creatore di universi che fu Philip Kindred Dick (16 dicembre 1928 – 2 marzo 1982). Gli appassionati che viaggiano per i cupi mondi della fantascienza avranno intuito che vado a parlare di Blade Runner, pellicola cyberpunk per antonomasia diretta da Ridley Scott nel 1982. Il film è tratto, come è noto, dal fortunato romanzo dello scrittore americano intitolato Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?) e pubblicato nel 1968. Della pellicola, datata invece 1982, esiste anche una versione, di gran lunga più interessante, privata della voce fuori campo e arricchita da un finale emblematico.

 

Il protagonista è il cinico quanto schivo cacciatore di “lavori in pelle” Deckard (Harrison Ford) discendente da una lunga serie di detective che i romanzi di Raymond Chandler ben descrivono. Rachel (Sean Young) è la donna del mistero, una romantica silhouette con sottili sigarette tra le dita. La minaccia per l’umanità è rappresentata da un gruppo di replicanti che, fuggiti dalle colonie extramondo, torna in città nella speranza di sopravvivere più a lungo della “data di termine” loro imposta dalla Tyrell Corporation. Si apre così la spietata caccia di Deckard, assoldato controvoglia dalla polizia per eliminare tutti gli androidi sopravvissuti. Per loro infatti non c’è spazio nella vita reale, essi non possono convivere accanto all’uomo, loro creatore.

 

Lo scenario tetro e fumoso della Los Angeles del futuro, immaginata da Dick e filtrata poi da Scott nelle immagini del film, crea suggestioni noir-futuriste riprese in larga misura nella fantascienza cinematografica successiva nonché nell’animazione giapponese di fine anni Ottanta. La città è infinita, senza limiti ne confini stabiliti e l’uomo vi si smarrisce. La luce del sole raggiunge gli appartamenti, i laboratori, le case ma sempre al fine di creare intensi giochi d’ombre. Quello di Blade Runner è un sole perennemente oscurato dalla tetraggine che pervade i sudici palazzi estesi nella lunghezza di innumerevoli piani. È un tempo sempre uguale, un tempo che non muta perché il cielo non si rannuvola come nemmeno non si rasserena. Esso è specchio della condizione uomo-androide che rivela un’esistenza instabile, tesa alla fuga anche quando non vi è una stretta necessità. Il protagonista è l’uomo che inscena la paura dell’opposto, il replicante che ne è immagine perfettamente uguale nella forma e forse – ci suggerisce Dick – anche nel cuore. I ricordi innestati nella memoria di Rachel sono veramente parte di una vita vissuta pur essendo tuttavia invenzioni atte a fornire un passato al replicante. Ma siamo certi che i nostri occhi vedano ciò che osserviamo e che i nostri sensi captino ciò che accade all’esterno? Sotto la stratificata corazza di egoismo di Deckard sfioriamo i quesiti più profondi che portano a chiederci quanto e cosa di noi differenzi l’androide di Scott dagli uomini che ne auspicano la distruzione. Un essere annichilito dalle medesime paure: il Tempo che fugge, un’entità contro la quale lottare, provare a cambiare la destinazione finale. È il Tempo che manca a questo surrogato di umano che scalpita all’interno di un contenitore denominato appunto tragicamente “Tempo”. Eppure in tale scatola anche Roy Batty (Rutger Hauer) esiste, vive, ricorda, pensa. Non sapremo mai se quelle fiamme al largo dei bastioni di Orione abbiano realmente bruciato le navi da combattimento, però tutto ciò esiste nella testa del coraggioso androide.  Quando la fine è imminente egli sa che i ricordi andranno perduti e, come lacrime nella pioggia, si perderanno nel tempo in avvenire. Il desiderio di vita appare più forte quando la “scadenza” sopraggiunge.

 

I giochi si complicano al nascere dell’amore per la dark lady e ancor di più nel momento in cui fa il suo ingresso l’Empaty di Dick, quel sentimento che si protende verso il simile non-uomo ma esclusivamente intrinseco alla natura umana. Deckard paradossalmente deve privarsene per uccidere spietatamente i fuggiaschi delle colonie, mentre Roy, Pris e gli altri se ne appropriano. Chi allora assomiglia a chi? Quale essere sviluppa la suddetta Empatia? Vi è forse una contaminazione tra specie che convivono nello stesso pianeta? Rimane difficile anche all’uomo del futuro districarsi tra le illusioni del simulacro. Eppure non possiamo continuare ad incarnare i cavernicoli che scorgono ombre nella grotta pensando che queste rappresentino la realtà là fuori. E coerentemente l’uomo di Blade Runner non si accontenta di rimanere intrappolato nel surrogato di se stesso. Il film di Ridley Scott, nel suo non tradire l’insegnamento dickiano, è più di una storia fantascientifica, è un ragionamento sull’essere umano e su quale essenza veramente lo connoti. Con le musiche di Vangelis, attraverso scenari noir decadenti e il contributo di attori sopraffini quali Ford e Hauer, Blade Runner fu a suo tempo, e lo è ancor oggi, ispiratore di innumerevoli ulteriori pellicole, aggiudicandosi il primato indiscusso di film cult. I cultori del genere ne sono praticamente certi: Dick avrebbe apprezzato.

 

chiarOscura

 

 

L’articolo è stato riproposto in merito all’evento “I’VE SEEN FILMS”, la prima edizione dell’International Short Film Festival promosso dall’attore Rutger Hauer. Il Festival si terrà a Milano dal 22 al 26 settembre 2008 e ospiterà tra i giurati Robert Rodriguez, Richard Gere, Ridley Scott e Paul Verhoeven. Oltre ai cortometraggi selezionati verranno riproposte diverse pellicole tra cui naturalmente anche “Blade Runner”.

 

http://www.icfilms.org/

http://www.rutgerhauer.org/

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