Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Marina Vlady, Anne Duperey, Roger Montsoret, Raul Lévy, Jean Narbony, Juliet Bero
Paese: Francia, 1967
Un piano, una tazza di caffè dove la schiuma si muove formando un piccolo vortice, una delle immagini più famose di 2 ou 3 choses que je sais d’elle. Come il vortice creato dalla società dei consumi, ambiente in cui viviamo e dal quale anche nostro malgrado siamo risucchiati. Ma questo gorgo potrebbe avere anche una valenza positiva, rappresentare un pensiero mutevole pronto a dubitare della realtà che lo avvolge.
Ispirato da un’inchiesta de Le Nouvel Observateur, “2 ou 3 choses que je sais d’elle” è il più scarno e acre tra i film del primo periodo. Gli ideali romantici di rivoluzione muoiono già con il volto dipinto d’azzurro di Pierrot. Il cinema di Godard si scompone: a diventare protagonista è l’immagine della quale si inizia a sperimentare profondamente il limite e la possibilità. La struttura già frammentata si svincola del tutto dalla narrazione canonica e l’interesse volge alla descrizione della società e ai rapporti che intercorrono tra oggetti e persone, evitando l’indagine rigorosa e procedendo per associazioni spontanee poiché come dirà Juliette: nessun evento è vissuto per se stesso, si scopre sempre che è legato a ciò che lo circonda. L’intenzione del film è proprio di creare uno sguardo sull’insieme mediante una struttura circolare dove vicende, oggetti e persone si uniscono in ordine di consequenzialità, oltre a rappresentare con questa forma la prigione che crea la società dei consumi dove l’uomo si racchiude consapevolmente come padrone fino a diventare inconsapevolmente schiavo del sistema che esso stesso contribuisce incessantemente a creare.
Elle è l’attrice e la donna, è Marina Vlady e Juliette Jeanson insieme soggetto ed oggetto della vita e del film. Ma elle è sopratutto la regione parigina di metà anni sessanta: passivamente pronta ad accogliere il cambiamento in forma di cubi di cemento. Il riassetto urbanistico di Parigi entra nel film da protagonista, palcoscenico vivente degli eventi. A muovere i fili “il je” di Godard, in forma di voce fuori campo spesso sussurrata e nascosta riflette sulla vita moderna e sulla crisi dell’ esistenza nella nuova società.
Il paragone con Vivre Sa Vie è spontaneo, naturale grazie all’ auto-citazione che vede riaffiorare il volto di Nanà come dipinto, allo stesso modo logico trattandosi di un film da cineasta. Entrambe prostitute, Nanà era però la donna destinata a vivre sa vie consapevole delle sue scelte e del suo destino, appagata nella sua libertà di decisione la vedevamo filosofeggiare immersa nella splendida luce di Coutard. Juliette è invece lucida, calcolatrice. E’ moglie e madre del tutto inglobata nel meccanismo. Non vede nella prostituzione il disegno di vita ma un mezzo per raggiungere uno scopo: comprare il superfluo che nella nuova società è divenuto indispensabile. La prostituzione in Godard (come peraltro più volte spiegato dal cineasta stesso), non è soltanto il mestiere in sé bensì una metafora molto più ampia dei rapporti che si vengono a creare tra l’ uomo e la società. La vendita del corpo equivale all’abnegazione che tutti compiono prima o poi per trovare un posto nella società. E’ quindi necessario uscire da questo loop.
Il riemergere dal meccanismo può avvenire soltanto dimenticando: se in molti film di Godard risuonano insistentemente le parole “vita” e “scelta” in 2 ou 3 choses que je sais d’elle la parola che risuona più spesse è “dimentico”.
Quello che è un cinema teso tra teatralità e veridicità di gusto neorealista nasconde spesso dietro il farsesco una complessità di spirito e una profondità notevole. I personaggi godardiani assorbono e si nutrono del periodo in cui vivono anche quando il film (e una lettura superficiale) li presenta come completamente avulsi dall’ ordine sociale. I protagonisti di 2 ou 3 choses que je sais d’elle, proprio per questa ragione ci appaiono del tutto ordinari. La loro alienazione nasce dalla percezione della società parigina dell’ epoca, la loro è quindi una maschera naturale fattagli indossare dal sistema. Soltanto quando riescono a liberarsi da questo limite in cui sono finiti possono riprendere coscienza del loro essere. E’ nel momento in cui i personaggi escono dalla vicenda che inizia la riflessione: l’azione si blocca e in ambienti molto spesso (e non a caso) riempiti di specchi gli attori, sguardo in macchina, smettono di prostituirsi e riprendono coscienza del loro essere.
Come i personaggi escono dal film per poter pensare così è necessario secondo Godard uscire dalla realtà in cui si vive per poter costruirne una nuova. Il mondo quantomeno irreale che nasce da questa scissione non si trasforma assolutamente in un luogo fittizio, ma nell’unica possibilità che ha l’uomo di liberarsi dal sistema.
“Parto tranquillo sulla strada del sogno e dimentico il resto (…) Ho dimenticato tutto salvo che, poiché mi riducono a zero è da lì che bisognerà ripartire”.
Monia
ciao Monia colgo l’occasione per ringraziarti di questa recensione. ho sempre pensato a questo film come a una sorta di “destrutturalizzazione” della società e della vita occidentale, una storia stupendamente frammentaria in cui Godard metta in luce le parti (persone, singolo gesti, oggetti) per comprendere o addirittura allontanare l’idea del TUTTO. le riflessioni apportate mi paiono quantomeno attuali considerando poi il fatto che oggi, ancor più di ieri, estremizzando l’opposto di quello che sosteneva Godard, siamo portati a specializzarci in un lavoro, in una mansione, in un settore, dimenticando la visione d’insieme. o più semplicemente dimenticando quali siano i rapporti tra le cose. quella dell’uomo moderno occidentale è una coscienza del sè falsificata che conduce sempre e solo verso l’alienazione; un po’ come una grossa catena di montaggio dove nessuno ha ben chiaro quale sia il disegno finale…
grazie a te! concordo è un film ancora molto attuale. a me è sempre piaciuta molto quest’ idea di trovare nel “vuoto” la strada per costruire una realtà nuova ed una società governata da meccanismi vivibili.
la forma frammentata permette proprio di dare ancora di più uno sguardo sull’ insieme, su come ogni singola azione vive sempre in rapporto con altre, sia dal punto di vista positivo che da quello negativo. credo proprio che godard abbia voluto manifestare l’ alienazione dell’ uomo attraverso questo vortice, dici bene, una catena di montaggio, dove l’ uomo spesso è inconsapevole delle proprie azioni. godard aveva ragione ci riducono a zero, ma comunque bisognerà ripartire – speriamo presto 😉
Questa volta non concordo 🙂
Non amo le assolutizzazioni, e a dire il vero nemmeno le assoluzioni che spesso sono speculari alle demonizzazioni. Per questo non credo che la coscienza dell’uomo occidentale sia necessariamente una falsa coscienza. Esistono gli uomini occidentali, con le loro differenze e certo le loro similitudini, ma le une non annullano le altre. Concordo solo se il discorso è tendenziale e settoriale al tempo stesso. Se è un giudizio integrale no, anche perchè io sono un uomo occidentale che tuttavia nella categoria dell’alienato non si riconosce. L’omologazione è un rischio che corriamo, ma correre un rischio non significa viverlo per forza (altrimenti non correremmo più, saremmo già dentro l’eventualità prospettata dal rischio). La stessa idea dell’essere ridotti a zero diventa fragile di fronte al fatto che noi si sia capaci di esprimere questa condizione. Se la esprimiamo allora possiamo guardarla dall’esterno, da un altro punto di vista. E se la guardiamo da un altro punto di vista allora non siamo più parte di quello zero o di quella falsa coscienza, ma di una nuova coscienza. Si dirà: ma a guardarla così era solo l’artista. A dire il vero a guardarla così è anche chi la recepisce, l’immagine. Chi fruisce dell’immagine è un segmento sociale non necessariamente minuscolo e che esercita uno sguardo differente sulle cose. Se il punto è la tendenzialità dei processi e non la loro effettualità, allora chi esercita quello sguardo può produrre “vera coscienza”, ovvero libertà, per invertire questa progressione verso l’eteronomia. Ma se diamo per avvenuta la tendenza e per omologato il mondo, ci rimane qualcosa da fare? Il rischio è quello di finire come Adorno nella descrizione fattane da Gyorgy Lukacs nelle pagine introduttive alla teoria del romanzo: comodamente seduto, vive nell’Hotel Abgrund, dove Abgrund possiamo tradurlo come abisso. E’ così che ci sentiamo?
Paul.
Vi sembrerà strano, ma io mi sento così, comodamente seduto a rimirare il vuoto nell’hotel Abgrund e quasi stordito dalla superficialità dei tempi che vivo. E provo vergogna a dirlo.
Recensione molto incisiva da parte di una giovane che non usa giri di parole per dire ciò che pensa. Trovo che vi siano riflessioni e citazioni in questo film che sfuggonoo al clichè classico godardiano. V’è insita una filosofia che riporta questa Parigi deframmentata (così come lo è la vita) ad altezze filosofiche e intelletuali di una parigi perduta nella bruma dei secoli.
Prendiamo in questo discorso una chiave di volta : la tazzina di caffè: è un mare primordiale, un cosmo che nasce con le sue galassie, supernova etc. Ma è ancora solo materia, ovvero qualcosa destinato a perire e a volte senza lasciare un segno, un fiat chè è ancora limite come ci narra la voce di JLG, che ha una sfera di irradiamento limitata, quella di una parola dettata da archetipi, eggregori, inconsci già racchiusi in un limite, in un immagine vincolata. Dunque tutto ancora caos, confusione, mancanza di chiarezza. Che senso avrebbe ciò, quale scopo di tutto questo nascere, divenire, e morire? Eppure come diceva invece Frank Truff un’aspirazione definitiva esiste in tutto questo fraseggio fine a se stesso. E’ un aspirazione latente, l’Ars reminiscendi, qualcosa di totalmente subacqueo, di natura imprendiscibile, che non possiamo afferrare e possedere, ed è là che la chiave di volta di questo film apre un portale di cui avevamo reticenze mnemotiche, non utilizzabili nella vita impostataci da società, famiglia etc. E’ una vita nella vita. E’ lì nella scena della tazzina di caffè, in quel brodo primordiale, nei suoi effluvi, giri meccanici e incastri ripetuti che JLG ci riporta dal mondo subacqueo quell’unica verità che non siamo stati ancora capaci di far affiorare nella nostra vita. “Se le cose avranno contorni netti, sarà grazie alla rinascita della coscienza. Ensuite tout ca changerait. Ecco la vera derivazione, ecco la porta finalmente aperta, il risalire della corrente mnemonica Proustiana, l’arrestarsi del tempo corrente Ora è un vero fiat lux.
Bon courage Monia!
Per Monia: Partendo da quanto ho scritto di getto qui, ne ho fatto un post.
Io ho una richiesta….ma in realtà è che con la recensione che hai fatto qui penso che con Alphaville ci andresti a nozze bagnate di blanc de blanc grand cru, il che è tutto dire. Pensaci su.
per Paul: certe cose che scrivi le capisco, ma non l’attegiamento, con questo afflato aristocratico che prolisso e decadente si può permettere un eloquio con cui strapazzare i writer di turno. Non lo dico in anonimato c’è qui la mia firma questo per dire che non voglio tirare un colpo basso. Riguardo l’omologazione vorrei che cercassi cosa ne diceva Pasolini 30/40 anni. Scendi dalla poltrona ed esci dall’hotel, scrostati l’aplomb da annoiato di tutto ed immergiti nella vita. Avrai una possibilità in più su tutto. E ripeto questo mio dire non è polemica. ciao nam
ciao Nam credimi l’atteggiamento di Paul è tutt’altro che ristocratico. forse non ha espresso il concetto nel migiore dei modi, però quando dice “Si dirà: ma a guardarla così era solo l’artista. A dire il vero a guardarla così è anche chi la recepisce, l’immagine” non dà l’idea di rimanere seduto a far polvere nell’hotel dell’Abisso. e se lo fa se ne vergogna…
saluti
chiara
Si a volte ho un atteggiamento aristocratico, ma è un distacco da contatto (ero molto meno aristocratico quando dormivo nel parcheggio dello Stadio Carlini a Genova, nel luglio del 2001).
Se fossi decadente non riuscirei a strapazzare nessuno e decadente non penso di esserlo. Nè tantomeno prolisso. Prolisso è che ripete le proprie argomentazioni, qui mi sembra invece che a ogni periodo io proponga un’argomentazione che è conseguente a quella proposta nel periodo precedente. Non sono annoiato di tutto, sono annoiato dalla stupidità, che è diverso, e dal modo in cui si permetta impunemente alla stupidità di essere senso comune.
Il mio discorso precedente voleva essere una provocazione anche contro me stesso, perchè evidentemente di questo mondo faccio parte. Su Pasolini: penso di sapere cosa dicesse sull’omologazione. Ma è omologante anche continuare a ripetere i pensieri di Pasolini come se fosse un oracolo. E io rispetto molto quello che ha detto, solo che credo ci si dovrebbe aprire ad altre riflessioni, altrimenti finiamo a fare come quei comunisti pre ’56 che dibattevano solo a colpi di citazioni.
Ah tanto per intenderci, nella polemica tra Lukacs e Adorno io sto dalla parte di Lukacs ma ho simpatia per Adorno. Questa è la mia contraddizione, ma non ho poltrone su cui sedermi 🙂 (Anzi!)
Paul.
il discorso di godard, perchè tanto è da lì che abbiamo preso spunto è semplice e non è nulla nè di aristocratico nè di filosofico. per leggere godard bisogna partire da due presupposti:
1) che è sostanzialmente un’ esistenzialista anche se è continuamente ricordato come il cineasta di gauche.
2) che godard è contraddizione, e questo a mio avviso è l’ esempio lampante di una mente libera che sa ritornare su i suoi passi, mettere in dubbio e non ragionare per categorie impostate; pensiamo a je vous salue marie e alla polemica sul film, di solito è ricordata la polemica con i cattolici, ma in realtà quella più aspra fu con i situazionisti che simpatizzavano con godard (spesso è stato detto che godard era il doppio “famoso” di debord).
fatte queste precisazioni io credo che ogni film di godard sia una provocazione; la prima verso il cinema dal punto di vista formale (frammentazione dell’ immagine, sguardi in macchina, sonoro che va da una parte macchina da presa che va dall’ altra, didascalie, ritorno al muto ecc. ecc. – che detto così sembra una sciocchezza ma che in realtà pesa moltissimo sulla sua opera).
la polemica poi contro la società, poichè il cineasta a differenza del regista si deve porre contro il tempo in cui vive (parole dello stesso godard in masculin et feminin) c’è sempre. detto questo è ovvio che ci sono persone che non si riconoscono nell’ alienazione come altre che vi si riconoscono (se però non ricordo male l’ alienazione consiste nel non sapere di essere alienati 😉 ), che c’è gente che si rende conto di ciò che lo circonda ed altri che non se ne rendono conto, e che ognuno di noi trova il mezzo per uscirne, per rimanere a galla o per affondare.
sono d’ accordo non si può demonizzare tutta la società occidentale ma non la si può nemmeno assolvere del tutto. d’ altra parte questi meccanismi non sono stati creati dal nulla ma fanno parte di un processo di cui tutti facciamo parte. penso sia sciocco tirarsene fuori, come è sciocco lamentarsi perchè ci siamo dentro… ognuno di noi ha le sue responsabilità che lo voglia o meno perchè in questa società ci viviamo e rendersene conto per me è già un passo avanti.
il discorso del ridursi a zero a me continua a piacere molto 🙂 se il “nulla” di cui siamo circondati non ci permette movimento è dal nulla che bisogna ripartire… insomma io lo trovo un concetto più che positivo, o è forse meglio essere come chi continua a lamentarsi che tutto fa schifo senza porre una soluzione?
per ragionare di solito però non importa ne sedersi su poltrone ne dormire nei parcheggi solitamente basta parlare 🙂
Circa otto anni fa, stavo riflettendo sul fondamento della conoscenza, chiedendomi come si potesse risolvere il dilemma sulla possibile illusorietà del reale. Scrissi questa frase “l’idea che tutto possa essere illusione a sua volta può essere illusoria”. Notai, qualche tempo dopo, che Robert Putnam aveva prodotto un ragionamento analogo alla fine degli anni ’70 e la cosa mi fece piacere. Questo per dire come, parlando di falsa o cattiva coscienza, si rischia un circolo vizioso analogo. Chi non si definisce alienato non è detto che sappia di esserlo, ma, aggiungo io, chi descrive un mondo come alienato al tempo stesso può avere l’assoluta certezza di non esserlo? Si resta, dico anche fortunatamente, nel campo dell’incertezza. Se non si rimanesse in questo campo probabilmente parlare equivarrebbe a ripetere delle formule matematiche. E la cosa sarebbe certo noiosa.
Sul ripartire dal nulla, mi verrebbe voglia di scomodare Troisi. Ma ricominciamo da tre! 🙂
Il nulla è un illusione, esistono rapporti di forza, linee di tensione e, fortunatamente, linee di fuga. Preferisco ripartire da quelle e non credo all’annullamento del mio passato. Il mio obiettivo non è tanto rispondere a delle indicazioni, come fine, quanto quello di essere felice. E non si pouò essere felici di una felicità illusoria, pensando che il nostro passato o la nostra memoria siano elementi destrutturabili.
Il limite della filosofia francese contemporanea mi è sempre sembrato questo: è illusorio credere alla possibilità di corpi senza organi. Di questa carne siamo fatti, difficile staccarsene. Più facile percorrerla, innervarla di nuova storia, ma senza, con questo, voler distruggere la vecchia.
Non è il discorso di un nostalgico, questo sia chiaro, penso che sia il ragionamento di un realista. Ma, definendomi così, so che mi chiudo in altri paradossi che ci richiamano al principio del discorso (come faccio a sapere cos’è la realtà? chi dà al realista questa patente?). La mia è una consapevolezza piena, però, visto che produrre paradossi è il modo che abbiamo per continuare a sentirci liberi e non obbligati, nell’esistere, da linee di sviluppo già tracciate.
A presto, Paul
Penso Pasolini non fosse un oracolo (ma tu mi volevi mettere in bocca questo) ma la coscienza di quegli anni che vanno dal post fascismo sino ad oggi perchè i suoi temi sono sempre viventi, tanto che un tal sign. Grillo in mezzo a tutto il suo dire prende i punti fondamentali dei suoi discorsi proprio dal secchio del tal poeta.
Pasolini non era comunista (idem) ma come Visconti ha attraversato questo movimento riformatore come veicolo di espressione, visto che parlava al vento: espressioni, purtroppo non raccolte.
Più decadente di uno che sta sull’orlo di un abisso e riveste di clichè (che è stupidità) gli altrui discorsi…
Ma guarda, tenterò di essere più chiaro. Per quanto io non disprezzi le polemiche, non ne colgo il senso. Ti lascio con piacere i tuoi pregiudizi sulle persone e tento di attenermi a quello che ho detto. Quando osservo che Pasolini viene usato come oracolo non mi riferisco al tuo intervento, quanto a un atteggiamento generalizzato che oggi sembra fare di Pasolini un oggetto buono per ogni occasione. Per me Pasolini è un autore da valutare criticamente, probabilmente l’ultimo grande intellettuale italiano, non per questo esentato dalla possibilità di dire stronzate (o di girare pessimi film, perchè se penso alla trilogia erotica di Pasolini, davvero difficilmente riesco a trovare qualcosa di più noioso). Che Grillo prenda i suoi punti fondamentali da Pasolini mi interessa poco. A dire il vero, chi ha anche una minima conoscenza del pensiero, della vita e dell’azione politica di Enrico Berlinguer, sa bene che tutti i problemi che oggi noi stiamo affrontando, Berlinguer li aveva anticipati 30 anni fa, senza bisogno di mandare affanculo nessuno e limitandosi a prendere i fischi di orde di craxiani in calore. Ma lo studio della storia e l’analisi circostanziata dei fatti non piacciono agli italiani.
Non so Pasolini o Visconti cosa fossero, sebbene Pasolini si sia sempre definito un marxista che guarda a Wittgenstein. Io resto comunista. Sul discorso dell’abisso e della decadenza prendi un abbaglio grosso, ma non ho pulsioni evangeliche quindi non mi va di farti cambiare idea. Conosco bene la mia vita e più di me la conoscono le persone che possono esprimere un giudizio sulla mia coerenza e sulle mie azioni (che certo valgono più delle mie parole). Quando ti vorrai informare dal vivo su chi sono e come agisco, sarò sempre lieto di ospitarti a casa mia. Più di questo non penso di potere fare. Spero di essere stato chiaro.
Paul, che di nome fa Gregorio e che non è abituato a rivestire di clichet o di stupidità le cose dette da altri. Anche perchè di solito ci riescono benissimo da soli.
ok paul gregorio, le provocazioni sono facili a farsi come vedi. Ripartiamo da zero. Io mi chiamo walter e sono di genova. Cmq se posso permettermelo di dirlo, ma scrivi ed esprimi sempre le tue idee con questa forza. p.s. non sapevo che ci fosse tante persone in giro che amano o conoscano Pasolini, Riguardo a salò Bertolucci qualche hanno fa monto un film “pasolini prossimo nostro” in cui lo stesso poeta parla e rivela il linguaggio di questo film. Fu anche un film profetico per i fatti del circeo che sasrebbero successi da lì a poco. saluti nam
Beh Pasolini è un autore molto amato e molto citato (se poi sia molto conosciuto non so dirtelo di preciso). Si tenta anche di farne una specie di profeta nazionale, così che lo trovi nel pantheon della destra e in quello della sinistra.
Non so con quale forza esprimo le mie idee, mi limito ad esprimerle, poi ognuno ci trova l’intensità che preferisce.
Paul.