Regia: Nico D’Alessandria
Interpreti: Gerardo Sperandini, Nadia Haggi, Giuseppe Amodio, Nadia De Donato, Fulvio Meloni
Paese: Italia 1987
“L’imperatore di Roma” è probabilmente l’opera più conosciuta di Nico D’Alessandria, regista romano morto nel 2003 a soli 62 anni e quasi sconosciuto in vita. L’opera riprende le avventure quotidiane di Gerry Robertini (interpretato da Gerardo Sperandini, un tossicodipendente capitolino), imperatore di una Roma, per nulla imperiale, popolata da gatti ed erbacce cresciute sulle sue macerie abbandonate. La cornice temporale in cui si inserisce la vita di Gerry è quello dell’Italia anni ’80 e la pellicola di D’Alessandria tenta di riprodurne il clima “tossico-fobico” in cui si distinse, per grettezza, l’azione del socialismo craxiano. Il film chiaramente rimanda alla poetica pasoliniana dei marginali, riflettendone, tuttavia, i limiti politici ed estetici. Segnalato spesso come film cult, “L’imperatore di Roma” non è propriamente un film, ma un collage di “forme” sullo sfondo della stessa identica canzone. Certo qualche “quadro” si salva: splendide le immagini iniziali di una Roma albeggiante eppure crepuscolare e alcuni ritratti di Gerry, ma un film non è un videoclip né un atto di redenzione verso chi ha perso nella vita.
L’esaltazione dei marginali ha un limite grave, che è quello di tracciare la poetica della subalternità presa prima della sua acquisizione di coscienza. Il subalterno di D’Alessandria, e il subalterno in genere, non si pone affatto il problema della consapevolezza del suo ruolo: è perduto in un limbo e per questo ha ben poco da dire. È uno sconfitto incapace di immaginare un mondo differente, e per questo trova nella tossicodipendenza la sua gabbia ideale, dal momento che la droga, come fra l’altro proprio Pasolini osservava in uno splendido articolo scritto poco prima di morire, è la funzione di supplenza e di surroga di un’incapacità comunicativa . Il marginale, compreso il protagonista del film, non è il soggetto di nessuna storia degna di nota: non ha un’identità e nel riprenderlo gli si pratica qui una forma di indulgenza cattolica ancora più limitante che nell’opera di Pasolini perché più povera esteticamente. Non entusiasma il tentativo di rendere l’immediatezza attraverso il dilettantismo né, fra l’altro, convince lo sforzo di descrivere la vita di Gerry nella sua crudezza. Vige un’autocensura, tipicamente italiana e introiettata negli stili artistici più diversi, per cui anche le rappresentazioni più dure passano attraverso la mediazione del “riserbo” così che la pretesa immediatezza lascia una forte impressione di artificialità. Fare cinema, invece, significa essere consapevoli del mezzo che si utilizza e che proprio l’abilità nell’utilizzo di un’arte mediata consente quel realismo poetico della descrizione cui questo film mira senza però raggiungere il proprio scopo.
La perifericità di Gerry è più marcata di quella dei cafoni pasoliniani perché ancora più periferico è diventato il Paese in cui vive: un’Italia arricchita sul vuoto come quella degli anni ’80 e che dietro il pennacchio del secondo miracolo economico nascondeva una povertà umana di cui oggi ancora subiamo le conseguenze. Soprattutto ancora più periferico è diventato l’occhio di chi la riprende, quella realtà. Identificare nel marginale il soggetto della propria arte significa votarsi all’afasia e al fallimento: così come la droga non ha prodotto altro che macerie, desertificando le piazze e facendo ridondare il silenzio, la vita di un tossico senza altre ragioni per essere al mondo oltre la propria dipendenza finisce col rivelarsi semplicemente insignificante. L’antagonismo dei marginali produce vuoti che si possono riempire con la bellezza delle immagini, come in questo caso, senza riuscire a fugare la presenza di quel vuoto e l’impressione di una forte debolezza estetica.
La distribuzione delle droghe, avvenuta massicciamente e in certi casi gratuitamente nel corso degli anni ’70, non è stato un caso ma il risultato di un crimine studiato e programmato al fine di sostenere un riflusso di cui qui si osservano gli effetti e non le cause. Questa assenza di causalità storica attraversa tutto il film allo stesso modo in cui innerva la cultura fragile e fallimentare di cui esso è imbevuto: un’occasione sprecata, tuttavia utile perché l’indicazione di un limite può essere sempre servire da opportunità per il suo superamento.
Concordo ma solo in parte su quello che scrivi…il delirio di essere l’imperatore di Roma attanagliava il regista nei suoi momenti di dissociazione e l’idea di farci un film sopra carica questa pellicola di intensa poesia….le difficoltà nel girarlo (tra la mancanza di fondi e l’aggressività e follia di Gerry) rendono questo film comunque una meteora rara…chiaro che non c’è lo spessore di Pasolini, ma tra le slabbrature evidenti emerge una sincerità toccante…e il trattamento riservato a Nico D’Alessandria dal nostro cinema (come quello riservato a Sergio Citti, Augusto Tretti, Silvano Agosti, Luigi Di Gianni…) grida vendetta (e i blog sono un buon mezzo per metterla in atto)…(http://scaglie.blogspot.com/2008/07/limperatore-di-roma.html)
Ciao!
Innanzi tutto ti ringrazio per i riferimenti ad alcuni autori (Tretti e Di Gianni) che non conoscevo e che quindi mi andrò a cercare. Tra i vari citati il mio preferito è Citti.
E’ vero quanto dici sulla sincerità del film, però questo tipo di cinema, anche quello di Pasolini, mi lascia insoddisfatto, sia per le scelte artistiche che per la scelta dei soggetti (di Pasolini, ad esempio, preferisco le pagine scritte ma anche in quelle, pur nel riconoscimento del suo talento assoluto, non sempre riesco a identificarmi perchè ci separa una diversa concezione della modernità). Passo subito a leggere la vostra di recensione. A presto,
gregorio.
Il cinema di Silvano Agosti, l’Azzurro Scipioni, è il cinema a cui Nico d’Alessandria ha affidato i suoi film in 35 mm. Sarebbe bello fare richiesta per vedere “Regina Coeli” e lo struggente “L’amico immaginario”.
Complimenti per il blog
Grazie per i complimenti, anche se non è che io sia un cultore di Agosti e di D’Alessandria (anzi) ti ringrazio per l’informazione.
Gregorio.